Dopo i cinque concerti alla Los Angeles
Memorial Sports Arena che nel gennaio 1989 chiudono la tournée di
“Bad”, un record d’incassi da 4 milioni e mezzo di spettatori
in 15 diversi paesi, Michael Jackson sente il desiderio di cambiare.
Archivia il passato, e un decennio durante il quale ha venduto oltre
100 milioni di dischi, licenzia il manager, firma un nuovo contratto
con la Sony che si dice valga 50 milioni di dollari, un record
assoluto che fa impallidire i 32 milioni sborsati dalla Virgin per la
sorella Janet. Anche la musica cambia.
Negli Stati Uniti si sta imponendo un
nuovo stile urban che rielabora l’R&B secondo dettami moderni.
Jackson fiuta l’aria che tira, vuole restare al passo coi tempi,
introdurre una nuova generazione alla sua musica. Chiude
amichevolmente la lunga e fortunatissima partnership con Quincy Jones
e allaccia una collaborazione con Teddy Riley, preferito agli
altrettanto quotati Babyface e L.A. Reid. Riley è il produttore che
ha imposto lo stile new jack swing coi suoi ritmi e suoni
sintetizzati, secchi, incalzanti, che strizzano l’occhio
all’hip-hop. Jackson lo chiama e gli chiede di produrlo come se
fosse un artista esordiente, non il re del pop. Il risultato si
chiamerà “Dangerous”.
Le cronache dell’epoca descrivono
Jackson alla frenetica ricerca di qualcosa di radicalmente nuovo, un
ibrido fra le ritmiche contemporanee di Riley e le morbidezze
melodiche del soul tradizionale. All’inizio del 1990 occupa vari
studi di Los Angeles per mettere a punto il sound che sente in testa.
Oltre che da Riley, che finirà per produrre metà delle canzoni
dell’album, è affiancato da Bruce Swedien e Bill Bottrell, già
spalle preziose in passato.
Bottrell, in particolare, è l’anima
rock delle registrazioni ed è essenziale nel costruire l’ibrido
funk-rock “Black or white”. Registra una guida per una parte
rappata all’interno del brano che conta di affidare a qualcuno
altro, ma Jackson decide di lasciarla com’è e il produttore vi
appare nascosto dallo pseudonimo L.T.B.
La canzone sarà scelta come
singolo per lanciare l’album, accompagnata da un videoclip kolossal
diretto da John Landis. Si stima che alla première, trasmessa in 27
paesi differenti, abbia assistito mezzo miliardo di persone.
Le collaborazioni si moltiplicano, la
lista degli ospiti si fa variegata. Jackson pretende di lavorare alla
vecchia maniera e i tempi si allungano. Nel pezzo scritto con Riley
“In the closet” si ascolta la voce della principessa Stéphanie
di Monaco, ma la canzone è stata pensata come duetto con Madonna e
sarà pubblicizzata da un video di Herb Ritts interpretato dalla top
model Naomi Campbell. I rapper Wreckx-n-Effect appaiono in “Drive
me wild”, Heavy D in “Jam”. Gli Andraé Crouch Singers portano
le voci gospel in “Keep the faith” e in “Will you be there”.
Come preludio a quest’ultima viene usata una performance della
Cleveland Orchestra, impegnata in una parte corale nella “Nona
sinfonia” di Beethoven, ma non è accreditata, una scelta che
costerà una causa milionaria.
Un’altra causa sarà intentata da
Albano per la somiglianza della canzone con “I cigni di Balaka”
con “Will you be there”.
Nell’album non mancano riferimenti al
passato prossimo. “Who is it” potrebbe essere la versione
scarnificata di un pezzo di “Thriller” cantato nel tipico stile
singhiozzante di Jackson, mentre la partecipazione di Slash dei Guns
n’ Roses in “Give it to me” rimanda a quella di Eddie Van Halen
in “Beat it”.
La stessa “Keep the faith”, composta con Siedah
Garrett e Glen Ballard, strizza l’occhio a “Man in the mirror”,
il successo di “Bad” scritto dai medesimi autori. “Gone too
soon” è invece la cover di una vecchia ballata rivisitata per
rendere omaggio a Ryan White, un giovane amico di Jackson morto a
soli 18 anni a causa dell’Aids.
Jackson lavora per diciotto ore di
fila, poi sparisce per interi giorni. Passa dal funk di “Jam” al
gospel di “Will you be there”. Mette sotto pressione i
collaboratori. A volte si presenta in studio solo per fare qualche
scherzo accompagnato dall’amico Macaulay Culkin, il giovanissimo
attore di “Mamma ho perso l’aereo” che appare nell’introduzione
del video di “Black & white”.
Le registrazioni si protraggono
per quasi un anno e mezzo e sono incredibilmente costose: si dice che
per incidere “Dangerous” siano stati spesi 10 milioni di dollari.
Di sicuro è l’album dal sound più moderno del cantante, abbinato
a testi sui grandi temi a lui cari: la difficoltà nel trovare e
mantenere relazioni pulite, il razzismo, l’amore e la pace
universale, argomenti questi ultimi riassunti in “Heal the world”,
una canzone in cui echeggiano i sentimenti di “We are the world”.
“Why you wanna trip on me” è invece un attacco ai critici di
Jackson, già tanti e agguerriti nel 1991, a cui chiede di dedicarsi
a problemi ben più importanti della sua vita privata.
Racchiuso in una copertina-collage
piena di riferimenti alle canzoni, “Dangerous” esce nel novembre
1991. Darà origine a ben nove singoli, pubblicati nell’arco di due
anni. Il quindicinale americano Rolling Stone scrive di “un uomo,
non più un uomo-bambino, che si confronta con i suoi ben noti demoni
e raggiunge la trascendenza attraverso la performance”.
L’album vende meno velocemente del
previsto tant’è che nel gennaio 1992 è scalzato dalla vetta della
classifica da “Nevermind” dei Nirvana, un fatto che col senno di
poi sarà interpretato come una sorta di cambio di guardia fra il re
del pop mainstream e i nuovi eroi del rock alternativo.
“Dangerous”
continuerà però a mietere successi ed è oggi uno dei trenta album
più venduti di tutti i tempi nel mondo.