30 apr 2017
È una bella giornata di sole. Ho camminato a lungo e decido di fermarmi a sedere. Con lo sguardo rivolto al cielo vedo attraversarmi le nuvole velocemente come i miei pensieri. Esiste veramente il tempo o è solo un altro strumento demoniaco creato dall’uomo per scandire ogni singolo istante della nostra vita, che fugace passa? Un giorno dura davvero 24 ore o un’eternità? È mai possibile che l’essere umano è destinato al lungo viaggio del non ritorno? E se l’idea della morte fosse solo irreale? Se la reincarnazione esistesse davvero?
Come fa un bambino a soli 3 anni a saper suonare il pianoforte senza avere mai studiato musica? Molti penserebbero al “caso” ma una volta qualcuno mi spiegò che il caso non esiste e che il pianeta da cui arriviamo ci manda sulla terra come stelle cadenti per compiere la “nostra missione”. Per qualcuno la missione è artistica, si riscopre nella poesia, nella musica, nei segmenti perfetti del linguaggio del corpo, nei movimenti che noi definiamo danza, come quella di una stella grande, magica e luminosa che è stata che è e che sarà ancora Michael Jackson.
Settimo di nove fratelli, non era stato considerato come membro del gruppo musicale che il padre, appassionato di musica, volle creare. Ma quando lo sentì cantare per la prima volta, a soli 5 anni, in una recita scolastica interpretando il brano “Climb ev’ry mountain” a cappella, la situazione si capovolse.
Da lì a poco il piccolo Michael sarebbe stato il leader indiscusso del gruppo che cavalcava la cresta dell’onda, i JACKSON 5.
Il piccolo “nanerottolo”, additato così dalla stampa per descrivere questo essere che certamente era molto più di un bambino, aveva le idee chiare, quando interpretò il brano “Who’s loving you”. Seducente, affascinante, ipnotico lo fu anche quando, staccatosi dal gruppo di “famiglia” che lo aveva consacrato alla musica della “Motown” con brani come “Ben” , ”Blame it on the boogie”, ”Destiny”, spiccò il suo volo solitario: le aquile, infatti, non volano mai a stormi. “Don’t stop til’ you get enough” del 1979 esprime esattamente il messaggio che Michael vuole lanciare: non mi fermerò mai fin quando ne avrò abbastanza. E così fu.
Perfezionista, pragmatico, eccentrico, dotato di una grande capacità d’ascolto, era una spugna. Parlava poco e ascoltava i geni che lo hanno ispirato da FRED ASTAIRE che lo definì il più grande ballerino di tutti i tempi a JAMES BROWN che rimase letteralmente rapito dai movimenti del suo corpo che oggi sono passati alla storia, da quelli da robot in “Dancing machine” alle piroettes velocissime in ”Smooth criminal”, la danza dello “zoombie” nell’ormai celebre mito del video “Thriller“, l’album più venduto di tutti i tempi, alla sua celebre camminata sulla luna in ”Moonwalk”.
Indiscutibile: il genio era lui. L’esibizione di BILLIE JEAN ai 25 anni della “MOTOWN: yesterday, today and forever” lo consacreranno a mito. Lui era quella giacca di paillettes scintillante, lui era quei pantaloni con l’orlo corto che lasciavano intravedere delle calze bianche e un guanto tempestato di duemiladuecento strass sulla mano sinistra. Al termine dell’esibizione lo show fu momentaneamente interrotto per consentire all’intera produzione e al pubblico di riprendere la calma. Era come se Michael avesse lanciato una “bomba di emozioni” tra il pubblico e lo avesse lasciato stordito e incapace di gestire quel flusso di energie. Quella stessa energia che sprigionerà nel 1987 nel brano “Dirty Diana” dall’album ”Bad” dove lui è ormai il padrone assoluto del trono ed è per questo che il mondo lo acclamerà come “KING OF POP”.
Durante i suoi concerti era solito arrivare in navicella spaziale. Quella stessa navicella che l’ha condotto sin qui, sulla terra. Era emotivo e timido nella vita di tutti i giorni, accattivante e misterioso sul palco: si trasformava, era un altro, era l’artista che dominava la scena, che calpestava il suo palco, definito per tutta la vita il luogo dove più era a suo agio. Era il “genio” che radunava ogni parte del mondo a cantare “Man in the mirror ”, perché ognuno di noi deve partire da se stesso guardandosi allo specchio, che riflette la nostra anima.
Lui era la storia nel brano “HISTORY”, e il sangue sulla pista da ballo in “Blood on the Dance Floor”. Michael è stato ”INVINCIBILE“ persino sullo scorrere della vita. A differenza di tutti gli esseri umani ha deciso lui e non la morte quando era il momento di andare via. Via dalle scene musicali, certamente non dalla vita. L’aveva affermato proprio lui in un’intervista allo scrittore Shmuley Boteach: a 50 anni sparire come il suo mito Elvis Presley e godere finalmente delle gioie della vita senza l’ossessione dei paparazzi attorno, che da sempre lo avevano tormentato.
Il 25 Giugno del 2009 il mondo intero, scosso, piange la dipartita di un artista che invece, chissà dove e come se la ride, finalmente libero da quella stessa luce che lo aveva condotto a noi, libero di essere un altro e sicuro di aver lasciato all’umanità un patrimonio musicale e artistico da esempio per tutti i nuovi talenti emergenti che si ispirano a lui, sicuro di avere compiuto brillantemente la sua missione sulla terra e ora libero da un nome che resterà nella storia per sempre: MICHAEL JACKSON “this is it”. È TUTTO.
Barbara Gricoli
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