giovedì 24 dicembre 2015

Da riscoprire: “Dangerous” di Michael Jackson


Dopo i cinque concerti alla Los Angeles Memorial Sports Arena che nel gennaio 1989 chiudono la tournée di “Bad”, un record d’incassi da 4 milioni e mezzo di spettatori in 15 diversi paesi, Michael Jackson sente il desiderio di cambiare. Archivia il passato, e un decennio durante il quale ha venduto oltre 100 milioni di dischi, licenzia il manager, firma un nuovo contratto con la Sony che si dice valga 50 milioni di dollari, un record assoluto che fa impallidire i 32 milioni sborsati dalla Virgin per la sorella Janet. Anche la musica cambia.

Negli Stati Uniti si sta imponendo un nuovo stile urban che rielabora l’R&B secondo dettami moderni. Jackson fiuta l’aria che tira, vuole restare al passo coi tempi, introdurre una nuova generazione alla sua musica. Chiude amichevolmente la lunga e fortunatissima partnership con Quincy Jones e allaccia una collaborazione con Teddy Riley, preferito agli altrettanto quotati Babyface e L.A. Reid. Riley è il produttore che ha imposto lo stile new jack swing coi suoi ritmi e suoni sintetizzati, secchi, incalzanti, che strizzano l’occhio all’hip-hop. Jackson lo chiama e gli chiede di produrlo come se fosse un artista esordiente, non il re del pop. Il risultato si chiamerà “Dangerous”.

Le cronache dell’epoca descrivono Jackson alla frenetica ricerca di qualcosa di radicalmente nuovo, un ibrido fra le ritmiche contemporanee di Riley e le morbidezze melodiche del soul tradizionale. All’inizio del 1990 occupa vari studi di Los Angeles per mettere a punto il sound che sente in testa. Oltre che da Riley, che finirà per produrre metà delle canzoni dell’album, è affiancato da Bruce Swedien e Bill Bottrell, già spalle preziose in passato.
Bottrell, in particolare, è l’anima rock delle registrazioni ed è essenziale nel costruire l’ibrido funk-rock “Black or white”. Registra una guida per una parte rappata all’interno del brano che conta di affidare a qualcuno altro, ma Jackson decide di lasciarla com’è e il produttore vi appare nascosto dallo pseudonimo L.T.B. 
La canzone sarà scelta come singolo per lanciare l’album, accompagnata da un videoclip kolossal diretto da John Landis. Si stima che alla première, trasmessa in 27 paesi differenti, abbia assistito mezzo miliardo di persone.

Le collaborazioni si moltiplicano, la lista degli ospiti si fa variegata. Jackson pretende di lavorare alla vecchia maniera e i tempi si allungano. Nel pezzo scritto con Riley “In the closet” si ascolta la voce della principessa Stéphanie di Monaco, ma la canzone è stata pensata come duetto con Madonna e sarà pubblicizzata da un video di Herb Ritts interpretato dalla top model Naomi Campbell. I rapper Wreckx-n-Effect appaiono in “Drive me wild”, Heavy D in “Jam”. Gli Andraé Crouch Singers portano le voci gospel in “Keep the faith” e in “Will you be there”. Come preludio a quest’ultima viene usata una performance della Cleveland Orchestra, impegnata in una parte corale nella “Nona sinfonia” di Beethoven, ma non è accreditata, una scelta che costerà una causa milionaria. 
Un’altra causa sarà intentata da Albano per la somiglianza della canzone con “I cigni di Balaka” con “Will you be there”. 
Nell’album non mancano riferimenti al passato prossimo. “Who is it” potrebbe essere la versione scarnificata di un pezzo di “Thriller” cantato nel tipico stile singhiozzante di Jackson, mentre la partecipazione di Slash dei Guns n’ Roses in “Give it to me” rimanda a quella di Eddie Van Halen in “Beat it”. 
La stessa “Keep the faith”, composta con Siedah Garrett e Glen Ballard, strizza l’occhio a “Man in the mirror”, il successo di “Bad” scritto dai medesimi autori. “Gone too soon” è invece la cover di una vecchia ballata rivisitata per rendere omaggio a Ryan White, un giovane amico di Jackson morto a soli 18 anni a causa dell’Aids.

Jackson lavora per diciotto ore di fila, poi sparisce per interi giorni. Passa dal funk di “Jam” al gospel di “Will you be there”. Mette sotto pressione i collaboratori. A volte si presenta in studio solo per fare qualche scherzo accompagnato dall’amico Macaulay Culkin, il giovanissimo attore di “Mamma ho perso l’aereo” che appare nell’introduzione del video di “Black & white”. 
Le registrazioni si protraggono per quasi un anno e mezzo e sono incredibilmente costose: si dice che per incidere “Dangerous” siano stati spesi 10 milioni di dollari. Di sicuro è l’album dal sound più moderno del cantante, abbinato a testi sui grandi temi a lui cari: la difficoltà nel trovare e mantenere relazioni pulite, il razzismo, l’amore e la pace universale, argomenti questi ultimi riassunti in “Heal the world”, una canzone in cui echeggiano i sentimenti di “We are the world”. “Why you wanna trip on me” è invece un attacco ai critici di Jackson, già tanti e agguerriti nel 1991, a cui chiede di dedicarsi a problemi ben più importanti della sua vita privata.

Racchiuso in una copertina-collage piena di riferimenti alle canzoni, “Dangerous” esce nel novembre 1991. Darà origine a ben nove singoli, pubblicati nell’arco di due anni. Il quindicinale americano Rolling Stone scrive di “un uomo, non più un uomo-bambino, che si confronta con i suoi ben noti demoni e raggiunge la trascendenza attraverso la performance”.

L’album vende meno velocemente del previsto tant’è che nel gennaio 1992 è scalzato dalla vetta della classifica da “Nevermind” dei Nirvana, un fatto che col senno di poi sarà interpretato come una sorta di cambio di guardia fra il re del pop mainstream e i nuovi eroi del rock alternativo. 
“Dangerous” continuerà però a mietere successi ed è oggi uno dei trenta album più venduti di tutti i tempi nel mondo.


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