domenica 11 gennaio 2015

Michael Jackson, la natura Umana nel Genio - Barbara Bizzarri

Quando avevo cinque anni, volevo a tutti i costi Cicciobello: un must, per noi bambine di allora. E finalmente, un Natale, lo trovai sotto l’albero: abitino rosso a strisce, cappello di paglia, era adagiato su una sorta di passeggino molto spartano di polistirolo. Il mio Cicciobello però non aveva capelli biondi, né occhi azzurri. Mia madre, per quell’occasione aveva scelto una special edition: Cicciobello angelo negro. Un meraviglioso neonato di colore. Stesso discorso qualche anno dopo: esaurita la funzione di comprare una Barbie – capostipite di molte altre – poi si doveva provvedere al necessario parco di amici fra un rinnovo di guardaroba e l’altro. E quando fui accompagnata al negozio di giocattoli, il mio sguardo fu subito calamitato da Cara: tutù rosa, coroncina sulla testa, 22 cm di assoluta perfezione fisica, la stessa che mi sembrò di riconoscere quando vidi per la prima volta il video di In the closet, in cui una sfolgorante Naomi Campbell volteggiava sensuale intorno al mio idolo. Sì, perché, ovviamente, anche Cara era di colore.

 Forse è stato a causa di questo imprinting che quando vidi la prima volta Michael Jackson mi sembrò di vedere l’incarnazione del mio ideale maschile con tutta la forza ormonale di un’adolescente che fino ad allora aveva sbuffato sulle imbarazzanti note dei vari Tozzi e Baglioni dè noantri. L’era dei guerrieri di carta igienica, degli orologi nelle stazioni e dei passeri del sabato pomeriggio era finita. Cominciava un’altra epoca, me lo sentivo: ora si parlava di zombie! Di non fermarsi fino a non farcela più! Di natura umana! Era tutta un’altra cosa, niente sarebbe stato più lo stesso. Mi votai alla causa con la partecipazione di un missionario comboniano, ma l’esaltazione durò poco. Dopo alcuni anni, il mio idolo – perché tale restava e un vero fan si vede al momento del bisogno – si era completamente trasformato da bellissimo 26enne coloured nonché prestante ballerino, in una imbarazzante creatura sfigurata dalla chirurgia plastica, che aveva preso le distanze dalle sue radici e che si era sempre più ritirato dalla vita pubblica e reale, circondato da nugoli di manager, publicists, assistenti sempre più numerosi e sostituiti a velocità supersonica.

Certo: rimaneva il talento, anzi, il vero genio di un entertainer straordinario, ma quando compresi che quest’ultimo era impiegato in uno sterile ripiegamento sugli antichi fasti (alcuni video, fra cui quello di Ghosts, sono pallide copie di Thriller e Smooth Criminal) e non in innovazioni meravigliose come quelle a cui ci aveva abituati, cominciai a sentirmi, come dire, tradita. Dove era finito il coraggio dell’innovazione? Dov’era finito realmente Michael Jackson? Perché i suoi video ispiravano quelli di generazioni di giovanissime popstars e le sue vecchie canzoni erano riarrangiate in tutti i modi possibili dimostrandosi ancora attuali dopo 25 anni mentre lui latitava, forse schiacciato da eventi che apparentemente ne avevano diluito la creatività e la forza?

 Ho seguito l’intera parabola discendente di MJ con la pena che si riserva a una persona di famiglia in difficoltà e come potrebbe essere altrimenti, dato che la sua musica ha accompagnato la mia vita per oltre due decenni? Ho cercato di capire perché un uomo che aveva avuto tutto: bellezza, talento, genio, capacità imprenditoriali, creatività, avesse poi deciso di rinunciare completamente a sé stesso trasformandosi in un enigma incomprensibile. Ho studiato la sua vita, ho chiesto a psicologi cosa può accadere a un artista attento e sensibile se costretto a crescere in pubblico, esposto costantemente sotto i riflettori e accusato di reati falsi e infamanti in un Paese che, notoriamente, vive in funzione dell’infanzia, anche quella retroattiva degli adulti: “A cinque, sei anni – afferma la dottoressa Carmelina Panella, terapeuta della famiglia – un bambino mette in gioco le naturali tendenze narcisistiche che dovrebbero trovare un equilibrio nelle regole dettate implicitamente nelle proprie esperienze di vita familiari e sociali.

Quando queste regole vengono a mancare, la tendenza narcisistica non trova il giusto contenimento e il bambino rimane vittima di un meccanismo vizioso in cui il successo, all’inizio causa del naturale aumento del narcisismo, ne viene alimentato e da strumento di espressione di ambizioni e bisogni genitoriali diventa espressione del narcisismo negato di chi si identifica in lui”.

 Poi è arrivato il 25 giugno 2009. Ore di incredulità. E’ accaduto davvero? So soltanto che quando ho sentito la notizia per l’ennesima volta, mi sono sentita derubata. Derubata della giovinezza. Derubata del sogno. Derubata del lieto fine. E ho pensato che tutto ciò che avevo provato era perduto. MTV ha trasmesso per un intero weekend i video che hanno proiettato The King of Pop nella leggenda. Mentre li guardavo e ricordavo con nostalgia lo stupore, la meraviglia e l’eccitazione che provai quando lo vidi per la prima volta su Videomusic, ho capito che è vero: nessuno scompare davvero e, come scrivevano i suoi fans nei messaggi che scorrevano sotto le immagini, Michael Jackson e la sua arte vivranno per sempre.



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