martedì 22 aprile 2014

First listen: Michael Jackson's posthumous 'Xscape'


E' facile, e probabilmente salutare, approcciare qualsiasi nuova release di musica di Michael Jackson con un certo scetticismo. Quasi cinque anni dopo la sua morte il Re del Pop rimane un'influenza indelebile su artisti contemporanei e una fonte di quel tipo di fascino libidinoso e cupo che è sempre così commerciabile, se non così memorabile, come una grande melodia. 

 Fortunatamente il postumo Xscape, in uscita il 13 maggio, offre per cominciare alcuni promemoria del perché Jackson è entrato nella nostra coscienza collettiva. Le otto canzoni presentate, selezionate dal caveau della defunta superstar, sono state originariamente registrate tra il 1983 e il 1999, dopo il precoce picco creativo di Jackson come artista (con le sue svolte soliste del 1979 Off the Wall e del 1982 Thriller). 
 Eppure il produttore esecutivo L.A. Reid e il capo produzione Timbaland - con il supporto alle console di altri noti creatori di successo come Stargate, J-Roc e Rodney Jerkins - garantiscono che i punti di forza duraturi di Jackson come cantante siano rappresentati, stratificati nelle moderne strutture elettroniche senza sovraccaricare le sinuose parti vocali o la struttura generale dei brani.

 Love Never Felt So Good - scritto e inizialmente prodotto da Jackson e Paul Anka, e qui co-prodotto da John McClain, co-esecutore del patrimonio di Jackson, e da Giorgio Tuinfort - ha schiocchi e fremiti vecchia scuola, con gli archi avvolgenti che richiamano la forza melodica e ritmica del lavoro di Jackson con Quincy Jones.
 Loving You, realizzata da Jackson durante le sessioni per Bad del 1987 e rivisitata qui da Timbaland, è altrettanto gioiosa e nostalgica, con tintinnanti accordi di pianoforte e solleticanti percussioni poste nel contesto dell'ultimo ritmo sincopato dell'artista.

 Altre tracce sono più taglienti e più aggressive, sia dal punto di vista sonoro che nei testi. Per Jackson, l'amore e l'ansia erano spesso inestricabilmente intrecciate; Do You Know Where Your Children Are (sempre dall'era Bad) documenta l'incubo di un genitore con un groove martellante, mentre la fredda Chicago, scritta da Cory Rooney, trova il suo narratore contrariato da una donna doppiogiochista.
 In Slave to the Rhythm, un'intrigante creazione del 1989 di Reid/Babyface riportata alla luce da Timbaland e Jerome Harmon, è la ragazza che soffre, mentre Jackson canticchia, durante un arrangiamento vorticoso e scoppiettante, di una donna che cerca di rompere le catene che la legano a casa e lavoro.
 Slave è giocosa in un primo momento, si apre con i classici strilli e singhiozzi di Jackson, ma c'è chiara empatia nel suo ritratto di una persona intrappolata, alla ricerca disperata di trovare "un ritmo tutto suo." Sembra particolarmente toccante qui che per questa star la fuga, come Xscape, sia arrivata solo postuma.

ORIGINAL TEXT
First listen: Michael Jackson's posthumous 'Xscape'


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